L’Inquinamento dell’acqua nell’industria della moda

L’inquinamento dell’acqua è una piaga del nostro tempo, direttamente connessa al cambiamento climatico e alla diffusione così ampia della specie umana sul pianeta.

Un inquinamento che va a toccare i fiumi e le falde acquifere interessate dallo scarico delle acque reflue della tintoria, ma anche un inquinamento prodotto indirettamente dal lavaggio dei capi sintetici in lavatrice.

L’industria del fast fashion genera non pochi problemi, quanto a consumo e inquinamento dell’acqua: problemi di cui dobbiamo farci carico il prima possibile.

Le soluzioni ci sono, e sono percorribili, ma vediamo prima di capire che relazione c’è tra il mondo della moda e la risorsa più importante per la vita umana: l’acqua.

Il consumo idrico della moda

Nel visionario film Dune di Denis Villeneuve si assiste al dialogo tra il protagonista, il principe Paul, e un uomo che in pieno deserto sta innaffiando delle gigantesche palme da dattero.

L’uomo racconta di essere l’unico a prendersi cura di queste enormi piante, che hanno molta sete: in un giorno consumano infatti quanto 100 vite umane!

Quando il principe gli chiede se non sarebbe meglio tagliare le palme e dedicare la preziosa risorsa agli abitanti del pianeta, l’uomo scuote la testa: le palme non si tagliano, perché sono sacre.

Una scena non così lontana dalla nostra realtà: la quantità di acqua necessaria per produrre un paio di jeans equivale al fabbisogno di acqua di 100 giorni di vita di una persona che vive in occidente e di un anno di una persona che vive in una regione subsahariana[1].

In un certo senso, anche per noi i jeans sono sacri.

Il consumo idrico è una forma di inquinamento

Non è però solo questione di equa distribuzione delle risorse: il consumo idrico ha anche un impatto inquinante. Ad esempio, una falda acquifera prosciugata può portare alla desertificazione e alla modifica della fauna e della flora locale.

Non dimentichiamo il ruolo mitigatore che ha la fotosintesi: gli alberi sono un vero e proprio polmone verde del pianeta e possibile strada verso la riduzione di emissioni di CO2 globali.

Inoltre, il consumo eccessivo di acqua dolce porta al calo lento e inesorabile di fiumi e canali che sfociano nel mare: questo consente al cuneo salino di risalire, ovvero di portare l’acqua salata anche laddove prima regnava acqua dolce.

Anche qui, si assiste a drastici cambiamenti dell’habitat naturale di numerose specie, che sono costrette a migrare o si estinguono.

L’inquinamento dell’acqua nella moda

Se parliamo di inquinamento dell’acqua nel mondo della moda, la tintoria è il processo più problematico. Quando andiamo a guardare i prodotti chimici utilizzati per la produzione di nuovi capi di lana, scopriamo che in tutte le fasi di lavorazione essi sono necessari, e implicano inoltre un grande consumo di acqua.

Prendiamo ad esempio la tintura: qui, l’acqua è il mezzo attraverso cui passa l’intero processo tintoriale, perché in essa vengono disciolti i coloranti e gli ausiliari di tintura, che l’acqua porta a risalire sulla fibra tessile.

Prodotti chimici della moda che contribuiscono all’inquinamento dell’acqua

Ma quali sono i responsabili chimici principali di questo inquinamento?

La lista sarebbe lunga, quindi ci limitiamo a citare i principali: abbiamo l’olio per produrre fibre sintetiche, i fertilizzanti per le coltivazioni di fibre vegetali, in primis il cotone. Metalli pesanti, solventi, ma i composti che più si riscontrano nelle acque di scarto degli stabilimenti tessili sono gli alchifenoli, sui quali infatti l’Europa applica dal 2005 delle fortissime restrizioni.

L’Africa e il ph dei fiumi

Alcuni fiumi in Tanzania sono blu. Ma non del blu “naturale”, che potremmo immaginarci in un corso d’acqua profondo.

L’ente Water Witness International ha condotto una ricerca in Etiopia, Lesotho, Madagascar, Mauritius e Tanzania, analizzando la qualità delle acque attorno agli stabilimenti tessili.

In un fiume della Tanzania in particolare si è visto un risultato preoccupante: il pH misurato è risultato pari a 12, lo stesso della candeggina.

Gli elementi chimici rendono l’acqua basica e inutilizzabile per l’uomo. Nonostante ciò, le acque reflue non vengono trattate adeguatamente, e quest’acqua nociva finisce nei campi e sulle tavole delle persone del luogo[2].

Un problema di controlli sull’inquinamento delle acque

Tra tutti i processi che consumano acqua, come abbiamo accennato la tintura è il peggiore: consuma tra i sei e i nove trilioni di litri d’acqua all’anno[3], i cui tre quarti diventano acqua di scarto.

Il problema principale non è l’acqua di scarto in sé, ma il fatto che in alcuni contesti geografici sia più difficile applicare dei controlli sul trattamento di queste acque reflue, che diventano facile fonte di inquinamento dell’acqua.

«In realtà, alcune delle sostanze chimiche utilizzate negli stabilimenti di tintura indiani sono proibite in Europa, il che è causa di dilemma per chi indossa capi di importazione», racconta alla rivista Vogue Virginia Newton-Lewis, senior policy analyst presso WaterAid.

Inoltre, anche quando c’è una normativa, spesso i singoli produttori scaricano le acque reflue illegalmente.

Sarebbe forse più facile trovare i responsabili, se fossero in Italia, ma in Bangladesh, India e Cina? L’unica strada per il consumatore resta quella di scegliere dei produttori locali.

Inquinamento dell’acqua per il lavaggio dei vestiti

Abbiamo parlato del consumo dell’acqua e di rilascio di acque reflue contaminate durante i processi di produzione, ma manca l’ultimo fattore di inquinamento dell’acqua di cui è responsabile l’industria della moda: il lavaggio dei vestiti.

Si stima infatti che il lavaggio di capi sintetici rilasci ogni anno 0,5 milioni di tonnellate di microfibre nei mari.

Una lavatrice piena di capi d’abbigliamento di poliestere può produrre infatti 700.000 fibre di microplastica, che finiscono prima nei mari e poi nella nostra catena alimentare.

Le microplastiche negli oceani sono un problema urgente, quindi è importante sapere che il lavaggio dei nostri indumenti sintetici è responsabile del 35% di questo tipo di inquinamento dell’acqua[4].

Quali soluzioni all’inquinamento dell’acqua di origine tessile?

Ridurre gli sprechi, sicuramente, ma anche scegliere, per quanto possibile, una moda eco-sostenibile.

Lo sapevi ad esempio che la lana rigenerata non usa processi di tintura? Trovi più informazioni nel nostro articolo “Lana rigenerata: un modo per salvare il pianeta”.

La buona notizia è che oggi ci sono molte aziende che si impegnano a rispettare degli standard di sostenibilità, nella loro produzione di moda.

Il sistema produttivo sta lentamente cambiando? Forse.

Ma sta a noi consumatori prendere in mano le redini del pianeta, e iniziare a fare scelte più responsabili.

Oggi il consumatore con la sua scelta, e quindi con la scelta di un negozio o di un centro commerciale, è in grado di innescare un meccanismo importante.

Perché può consumare meno, ma consumare meglio”.

(Fabrizio Tesi, CEO di Comistra)